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Non ti serve un grande messaggio ma un messaggio grande

Lo spazio e il soggetto nelle aree urbane

Se Calvino vivesse oggi probabilmente non gli verrebbe nemmeno in mente di scrivere un racconto come “Luna e Gnac“.

La storia parla di alcuni ragazzini che riescono a guardare il cielo stellato ogni 20 secondi. Questo è il tempo di alternanza della luce dell’insegna luminosa “Spaak-Cognac” che fa sparire le stelle e la luna.
Oggi 20 secondi di alternanza luminosa sono un tempo del mesozoico. Oggi è talmente naturale in città vivere tra le luci che semplicemente un racconto simile non avrebbe alcun senso.

Grandezza = visibilità

Questa è la regola, sui social come per le strade.
E quale modo migliore di essere visibili che fare pubblicità enormi? Ogni mezzo è lecito, persino i ponteggi delle facciate sono immensi cartelloni pubblicitari.
Nella pittura fino a 100 anni fa la grandezza era equivalente al valore: spesso le persone erano rappresentate più grandi perchè erano più in alto nella scala gerarchica.
Le dimensioni però non sono assolute: è fondamentale considerare la posizione di un soggetto rispetto allo spazio, comprendere come lo spazio che lo circonda assuma un senso.

Lo spazio urbano

È normale studiare la disposizione dei prodotti al supermercato utilizzando come misura il cliente e i percorso che fa all’interno delle corsie, la sua altezza media, il suo campo visivo.
Non altrettanto invece accade all’interno delle aree urbane: difficilmente c’è una scelta dei mezzi che tenga conto dei percorsi dell’utente. Ci si limita a pensare ai luoghi in cui “ci si ferma” come i semafori o le rotatorie, senza altre considerazioni architettoniche che tengano conto del tipo di edifici e dei flussi di traffico.

Gli studi di Debord sulla psicogeografia delle città, sulle diverse emozioni trasmesse dalle aree urbane, possono essere un ottimo punto di partenza per chi voglia utilizzare con cognizione ed efficacia la comunicazione urbana (anche se molto probabilmente Debord si rivolterebbe nella tomba…).


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